La Fotocatalisi

La fotocatalisi

È  il fenomeno naturale in cui una sostanza, detta fotocatalizzatore attraverso l’azione della luce (naturale o artificiale) modifica la velocità di una reazione chimica.

Le maggiori applicazioni utilizzano fotocatalizzatori a base di biossido di titanio (TiO2) che per attivarsi ha necessità di essere esposto alla luce UV.

IL NUOVO FOTOCATALIZZATORE ATTIVO NELLO SPETTRO DI LUCE VISIBILE – Lo sviluppo di un nuovo fotocatalizzatore a base di WO3 ha incrementato significativamente l’efficacia della fotocatalisi ed eliminato il problema di utilizzo della luce UV. Quando esposto alla luce, nello spettro visibile, il WO3 assorbe e converte l’energia luminosa in elettroni e lacune di elettroni. Il WO3 reagisce con l’acqua (l’umidità dell’aria) per creare radicali ossidrili (espressi come OH-) e con ossigeno per creare anioni superossido (O2-).

Miliardi di queste specie altamente ossidanti sono create in miliardesimi di secondo e lavorano per disgregare la materia a livello molecolare. Il risultato è una efficace decomposizione delle sostanze inquinanti organiche e inorganiche (assimilabili a tutte le polveri sottili PM2.5 – PM10), dei microbi, dei virus, degli ossidi di azoto, degli aromatici policondensati, dell’anidride solforosa, del monossido di carbonio, della formaldeide, del metanolo, dell’etanolo, del benzene, dell’etilbenzene, del monossido e del biossido di azoto, etc.

Il forte effetto ossidativo permette di utilizzare il fotocatalizzatore a base di WO3 triossido di tungsteno come disinfettante fotocatalitico.

Sebbene siano stati riportati molti studi sull’inattivazione fotocatalitica di batteri, pochi studi hanno affrontato l’inattivazione di virus.

Di seguito si intende fare il punto sugli effetti derivanti dall’utilizzo di soluzioni fotocatalitiche nei confronti dei virus.

FOTOCATALISI E MICROORGANISMI

È stato provato che la fotocatalisi può indurre una degradazione nel caso di composti semplici (proteine e DNA), un effetto inibitore nel caso dei virus e dei batteri, un effetto anticancerogeno nel caso di cellule più complesse addirittura nei riguardi dei pollini e delle spore che provocano allergie.

Gli studi relativi alla trasformazione di virus tramite fotocatalisi sono stati eseguiti in ambiente acquoso o comunque liquido oppure con metodo di contatto diretto organismo/superficie e si può parlare di due livelli di attacco fotocatalitico:

Il meccanismo di inattivazione dei virus mediante fotocatalisi è ancora da chiarire in modo definitivo, pur essendo già stata dimostrata l’efficacia del sistema con prove di laboratorio, utilizzando numerosi tipi di microorganismi ed avendo anche quantificato il risultato pressoché completo dell’attacco.

Questo sembra venga avviato sulle particelle di virus attraverso il loro assorbimento sulle superfici del catalizzatore seguito dall’attacco al capside proteico e ai siti di legame dei virus (attacco diretto di tipo Redox). Secondo altre fonti, il comportamento di inattivazione dei virus è mediato da radicali ossidrilici •O2 – e OH• o anche (ed in aggiunta) da Specie Reattive dell’Ossigeno (ROS) come •O2 -, OH H2O •HO e libere nella fase massa e non da quelle legate alla superficie del catalizzatore. Il meccanismo di successiva decomposizione comporta il degrado della parete cellulare e della membrana citoplasmatica, sempre a causa della produzione di specie reattive dell’ossigeno (ROS). Questo inizialmente porta alla fuoriuscita del contenuto cellulare, quindi alla lisi cellulare, fino ad una completa mineralizzazione dell’organismo. L’uccisione è tanto più efficace quanto vi è il più stretto contatto tra il virus e il catalizzatore.

Pur dovendo tener conto delle condizioni ambientali all’interfaccia, le specie reattive hanno un raggio di azione che può arrivare a 2 mm dalla superficie attiva.

L’IMPORTANZA DELLA SUPERFICIE SU CUI APPLICARE IL FOTOCATALIZZATORE

La superficie fotocatalitica che si sfrutta per la reazione è quindi costituita da una matrice o substrato che contiene particelle del fotocatalizzatore omogeneamente disperse, oppure da un film sottile di rivestimento che ricopre completamente il substrato.

Non tutti i materiali sono idonei per questa applicazione, perché entra in gioco la stabilità chimica degli agenti a contatto con la superficie o la matrice ove sono inseriti. Essi hanno stabilità chimica su materie plastiche, fibre, tessuti e metalli (valori di pH pressoché neutro),

La superficie di materiali può essere ulteriormente modificata, per incrementare l’effetto degradativo.

Ad esempio, è stato dimostrato che l’attività di uccisione di microorganismi può essere ulteriormente potenziata dalla presenza contemporanea di altri agenti antimicrobici, ad esempio silici e sostanze vetrose contenenti ioni rame (Cu+ e Cu2+) e argento (Ag+), oppure prodotti che contengono argento metallico complessato (argento colloidale), che agiscono come ulteriore serbatoio di sostanze attive in grado di attaccare i microorganismi.

Nel caso di trattamento dell’aria è importante che i filtri abbiano la maggior superficie di contatto con l’aria e, per questioni di consumi e rumorosità, una scarsa resistenza al passaggio dell’aria.

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